Quando la banda passò
«Credo che la musica sia il vero carburante per far ripartire culturalmente un’umanità ferita»
"Descrivi Parigi e sarai provinciale, descrivi il tuo paese e potrai essere universale”: ho scomodato Tolstoj per le presentazioni.
Quando il direttore mi ha parlato della nuova avventura, oltre agli auguri sinceri, si sono levati in me due sentimenti apparentemente contrastanti. Da una parte coglievo celati segnali di una eventuale collaborazione, dall’altra, forse con presunzione, pensavo già alla scarsa disponibilità di tempo, che avrebbe condizionato il mio apporto.
In realtà il mondo della scrittura informativa, concetto che trovo più ampio dell’attività di giornalismo, o della narrazione, mi ha sempre affascinato, e un po’ fatto paura. Mi hanno sempre fatto desistere dal cimentarmi lo “stare sempre sul pezzo”, sulla notizia.
La velocità è aspetto imprescindibile nell’ambito dell’informazione, e oggi raccontare per primi un fatto spesso rappresenta la sopravvivenza o meno di una testata. Roba che non fa per me, cultore del lento, della riflessione: tornare su una notizia, anche se già “vecchia”, consente di osservarne le sfumature, la sua maturazione. Ecco quindi uniti gli intenti, del Sardington e miei, svelati dal titolo stesso della rubrica: riappropriarsi del lento, della riflessione, con il tempo che ci vuole per analizzarla, farla nostra, farne esperienza, e dell’esperienza farne tesoro, a costo di sbatterci il muso, "scramentai"... “Scramentu”, altro lemma della lingua sarda candidato a identificare queste righe che condividerò con voi. Ho optato per Mighirimighiri, vocabolo campidanese ormai desueto e sinonimo di “abellu abellu”, piano piano.
E piano piano, senza fretta e senza scadenze, proverò ad affrontare quelle che penso siano le notizie da “rallentare”, approfondire, oltre l’urgenza di esporle, con il piacere di raccontarle.
Nessuna pretesa di essere cronista o giornalista, semplicemente una persona che sente l’esigenza di narrare, a se stesso per primo, i fatti che questo tempo sghembo ci propone. Con lo sguardo concentrato sulla terra che mi accoglie, con il pensiero che si affaccia su orizzonti altri, più ampi e talvolta spaventosi, per altezze e distanze.
Perché, tornando a Tolstoj, vogliamo allo stesso tempo essere provinciali e universali: volare alto, ché dall'alto si vedono molte più cose, ma ben radicati a terra, alla maniera degli olivastri di San Sisinnio, dei lecci del Linas.
Giuseppe Diana
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