Modugno a Sanremo nel 1958

Considerazioni sul mondo dell’arte e pretese imbarazzanti

Febbraio. Lo riconosci da quello che sembra un inizio di primavera, dopo l’era geologica del mese di gennaio. Dal carnevale, dalla notte degli Oscar. E dal Festival di Sanremo fenomeno sociologico, prima ancora che kermesse musicale e di costume (mi sia concesso lo sconfinamento, tornerò tra poche righe al Medio Campidano).

Tra le mie tante conoscenze, nessuna che abbia mai ammesso di averne visto anche un solo istante, eppure ogni anno fa il botto di ascolti.
I tormentoni di Sanremo iniziano a febbraio e durano tutto l’anno. Di Morgan e Bugo ne abbiamo riso e li abbiamo citati per mesi. «Che succede?»

Ora, accade che quest’anno, il riconfermato conduttore romagnolo Amedeo Umberto Rita Sebastiani, noto Amadeus, in piena emergenza pandemica, si era intestardito nel volere condurre l’edizione più difficile di sempre con la presenza del pubblico.

Alla faccia dei tanti lavoratori del mondo dello spettacolo che sono fermi da marzo 2020 (esclusa, per alcuni, la brevissima parentesi estiva/autunnale).
Si era proposto addirittura di mettere in scena l’evento a bordo di una nave/quarantena: avrebbe ospitato pubblico, artisti, maestranze e giornalisti.
L'Amedeo nazionale, aveva anche minacciato di abbandonare il Festival, se questo si fosse svolto senza spettatori in sala. «Perché gli artisti si sarebbero sentiti a disagio a esibirsi davanti a cartonati o poltrone vuote», affermava.

Salvo poi ridimensionare le pretese dopo essersi scontrato con il no secco dei ministri di cultura e salute.

Ora, Amadeus, davanti a tutto il tuo staff e agli artisti che dici di difendere, io sono un signor nessuno, ma permettimi: in Italia, in Sardegna, c’è gente che sta facendo la fame, perché ha nell’arte e nello spettacolo l’unica sopravvivenza.

Le tue pretese suonano come la celebre battuta del Marchese del Grillo. E, soprattutto, sono infondate. Molti dei partecipanti da te selezionati, sono abituati a dirette Instagram, Facebook, Tik tok e a un pubblico virtuale che si esprime a cuoricini, emoticon e pollici in su.

La tua presa di posizione però mi fa venire in mente, per contrasto, due esempi di amore per il proprio lavoro, nonostante le avversità ambientali incontrate.

Uno è il grande attore piemontese Giovanni Mongiano, che nell’aprile 2017, a causa di un disguido organizzativo si è ritrovato a salire sul palco di un teatro deserto, e ha recitato lo spettacolo “Improvvisazioni di un attore che legge” per intero: un delicato gesto di ribellione romantica.

L’altro, modestia accantonando, riguarda me. Il 2020 ha bloccato molti lavori, ma quello più importante no: mettere in scena l’Anfitrione di Plauto per il laboratorio teatrale del Liceo classico Piga, di Villacidro, che ho ricevuto l’incarico di dirigere. La quarantena ci sorprese mentre assegnavo le parti. Qualsiasi gruppo, davanti a quello tsunami, avrebbe tirato i remi in barca e abbandonato. Le mie ragazze e i miei ragazzi no. E testardamente hanno recitato davanti alle webcam la loro personale interpretazione di Amphitruo 2020, incontrandosi nell’etere e incassando applausi virtuali.
L’amore per il teatro, appunto.

Giuseppe Diana © Riproduzione riservata

Immagine in evidenza: Domenico Modugno durante l'esibizione al Festival di Sanremo, nel 1958

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