Pos

L'arte di arrangiarsi, declinata male

Popolo di santi, navigatori, e furbi. Questo siamo. Altro che poeti.
Se si riesce a trovare una scappatoia, non necessariamente legale, la percorriamo, subito. Senza vergogna. Senza rimorsi.

La mia riflessione è partita dalla lettura dei primi dati attendibili, diffusi giorni fa, relativi alla campagna governativa di rimborso del 10% sugli acquisti effettuati con pagamenti elettronici nei negozi: i centomila che effettueranno più operazioni di questo tipo, oltre ai 150 euro previsti dal programma cashback, riceveranno un superbonus di 1500 euro ogni sei mesi.

E che risultati ha il primo in classifica? Un totale di 1.757 acquisti in 59 giorni, con una media di circa 30 operazioni al giorno dall’inizio del programma.

Trenta transazioni. Il che mi fa pensare che quando va a fare la spesa, per un acquisto tipico di una ventina di prodotti effettua una ventina di transazioni. Una bottiglia d’acqua per volta, da una confezione da sei. E decine e decine di scontrini in tasca, con conseguente perdita di tempo e di pazienza, pur di raggiungere l’eldorado dei 1500 euro a giugno.

Ci sono persone che sono state capaci di rifornire 6 euro di carburante in innumerevoli operazioni, investendo ore per effettuare le transazioni. Inserisci la carta, digita il pin, seleziona la pompa, versa una quantità minima di carburante, reinserisci la pompa nella colonnina, torna alla cassa automatica, se sei un minimo coscienzioso strappi lo scontrino (la carta termica inquina parecchio), più spesso capita di trovare metri di strisce tristemente penzolanti dalla feritoia, e ripeti la procedura. 10, 15, addirittura trenta volte. Immaginate la faccia del gestore della stazione di servizio, 1 euro di guadagno (se va bene), 10 euro di spese tra transazioni, carta termica, inchiostri, elettricità e acquisto del prodotto.


Esagerazioni? Da fonti attendibili, sembra proprio di no. E c’è chi ha fatto di peggio. Ho letto recentemente che esiste la possibilità di acquistare un pos anche da privati cittadini, un dispositivo per pagare con le carte, collegato allo smartphone, e c’è gente che passa le serate a fare transazioni per scalare la classifica.

Sembra assurdo?

No. Mi ricordo l’utilizzo dei voucher, i buoni lavoro, introdotti nel 2003 dal secondo governo Berlusconi e fortemente utilizzati durante il governo Monti: erano diventati lo strumento migliore per incentivare il lavoro nero. In caso di controlli, o per un infortunio sul lavoro, si utilizzava il voucher per dichiarare che il lavoratore era temporaneo e pagato con un buono lavoro.

In Italia, spiace ammetterlo, capita sempre questo: ogni iniziativa, regolamento, imposizione legislativa, volta a migliorare lo stato delle cose, diventa occasione per scovare il sotterfugio, l’imbroglio, e il modo migliore per utilizzarla a proprio esclusivo vantaggio.

E questo accade in tutte le categorie sociali, dagli imprenditori ai semplici cittadini. Scavalcare, deresponsabilizzare, essere più furbi degli altri, è sport nazionale: forse più praticato del calcio. Supercashback? Passo le serate alla stazione di servizio. Voucher lavorativo? Recluto in nero i lavoratori, alimentando il caporalato e scatenando una guerra tra poveri. Autocertificazione? Altro che #iorestoacasa!

Un esempio su tutti: a Palermo, nell’aprile dell’anno scorso, è stato sorpreso un ragazzo sdraiato sopra una panchina a prendere il sole: sull’autocertificazione aveva scritto «non posso stare in casa perché stanno facendo le pulizie». Solo che si trovava a decine di chilometri da casa sua.
D’altronde, cosa poteva andare male? Le autocertificazioni sono una manna dal cielo, in un paese dove le magliette con disegnate le finte cinture di sicurezza andavano via come il pane.

Giuseppe Diana © Riproduzione riservata

Foto di Tomekwalecki, da Pixabay

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