Trasfusione

 Arbus - Sant'Antonio di Santadi - Riceviamo e volentieri pubblichiamo la lettera accorata di una paziente talassemica

Mi chiamo Maria Antonina Sebis, sono di Arbus e risiedo a Sant’Antonio di Santadi, nella località Seguris. La mia terapia salvavita sono le trasfusioni di sangue che ogni 12-15 giorni faccio a San Gavino, un paese lontano, da dove risiedo, circa 90 km tra andata e ritorno.

Ho la talassemia da quando sono nata e le mie prospettive di vita erano molto basse ma oggi ho 48 anni e sono viva grazie ai numerosi donatori che nel corso di questo quasi mezzo secolo si sono impegnati per donare l’unica medicina che non si può creare in laboratorio: il sangue. E grazie anche ai ricercatori e tutto il personale medico, in questi anni hanno permesso a tutti noi di potere svolgere una vita normale.

Negli ultimi anni però, specialmente da dopo la pandemia del 2020, la situazione di noi talassemici è molto peggiorata. Spesso si dice che il sangue c’è ma in realtà non basta solo il sangue con i gruppi sanguigni che tutti conoscono. Noi talassemici abbiamo bisogno di un’altra specializzazione: il fenotipo. Nelle trasfusioni è importante non solo il gruppo sanguigno ma anche questo fattore, soprattutto per i politrasfusi, è composto da un codice che rappresenta la carta d’identità del sangue. Nonostante l’impegno e la dedizione delle Avis di tutta la Sardegna non si riesce a soddisfare le richieste.

Con il Covid è esploso il sistema sanitario sardo: i donatori non riescono a donare quanto e come vorrebbero, manca personale, e purtroppo questa situazione ci impedisce di svolgere la terapia salvavita. Navighiamo a vista e quando capita in urgenza un trapianto o un incidente, le sacche si riducono sempre di più.

A volte ho la paura di tornare indietro nel tempo a quando i nostri genitori dovevano prendere un aereo per portarci in un’altra regione per ricevere una trasfusione di sangue che ci salvasse la vita.
Dopo cinquant’anni mi accorgo che la nostra patologia, nonostante i numerosi sforzi di donatori e personale medico, venga curata nuovamente con i tempi del passato. Se noi oggi siamo ancora qui è soltanto grazie alle donazioni e al lavoro del personale che però ora è numericamente sotto organico.

Vi voglio lasciare con una lettera di una mia coetanea:

«520 grammi. Solo 520 grammi.
Dopo 24 giorni complicati che ormai non si possono neppure dividere in alti e bassi dato che i bassi dominano prepotentemente.
Si fanno pure attendere, tanto, troppo. L'attesa è sempre snervante, si fanno quattro chiacchiere, tablet e telefoni ci aiutano a distrarci ma per quanto mi riguarda il pensiero resta comunque quello: come stracazzo è possibile che una trasfusione inizi alle 16 o alle 17?
Ringraziamo sempre i nostri donatori senza cui le cose andrebbero decisamente peggio ma c'è qualcosa nel sistema che non funziona e le cose sono accettabili quando si tratta di casi sporadici o brevi periodi ma questa ormai sta diventando la nostra realtà. È pesante e dato l'età che avanza lo diventerà sempre di più.
Il fard questa volta dubito apparirà sul viso dato che andrò via con l'emoglobina che supera di poco l'11.
Il tempo di tirare il fiato e sarò di nuovo qua e si riprenderà da capo in un loop infinito che la maggior parte delle volte sei grato che ci sia ma qualche volta non ne puoi davvero più
».

Ecco le parole di una persona con talassemia che ha la mia stessa età, che purtroppo trasfonde a Cagliari: non si possono sentire queste parole nel 2024, ho il cuore spezzato e inondato di lacrime.

Abbiamo chiesto l'istituzione urgente di un tavolo tecnico regionale sul Sistema Sangue e ne vogliamo fare parte in quanto portatori di interesse: se questo non basterà siamo pronti a fare ricorso alla Corte europea dei Diritti dell’Uomo.


Maria Antonina Sebis

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