Arbus, Grazia Deledda

 Arbus - Nel docufilm “La Rivoluzionaria”, la lotta della scrittrice sarda per l’emancipazione femminile

Un documentario per ricordare, nella storia della Sardegna, la vita dell’autrice nuorese Grazia Deledda, prima donna italiana onorata del premio Nobel per la letteratura.

Ieri sera, il Museo Antonio Corda di Arbus ha ospitato l’ultima iniziativa, in programma per il mese di dicembre, del Festival letterario Un incanto di parole. Storie, racconti e visioni, promosso dall’amministrazione comunale arburese, con la collaborazione dell’associazione Etno.

Nel docufilm, ottenuto in prestito dalla biblioteca comunale di Nuoro, sono state ripercorse le tappe fondamentali della vita della scrittrice sarda, che è esempio di coraggio, dignità e indipendenza.

L’incontro si è aperto con un intervento della docente Alexandra Cabella, che ha sottolineato i tratti rivoluzionari della personalità della scrittrice nuorese, nonché l’attualità dei temi affrontati nelle sue opere: «La critica letteraria del tempo - ha ricordato Cabella - dipinse Grazia Deledda come una donna triste, peraltro rea di essersi aggiudicata il Nobel a discapito di autori già molto apprezzati, quali Luigi Pirandello, Gabriele D’annunzio e Thomas Mann. Invero, l’autrice ebbe il merito di contribuire al superamento della cultura maschilista. Comprese l’importanza delle tradizioni sarde. Ebbe il coraggio di inseguire il suo sogno di bambina, imponendo alcune delle sue volontà persino al regime fascista, e incarnò perfettamente quei valori di indipendenza, coraggio e perseveranza, di cui dobbiamo fare tesoro nelle nostre scelte di vita».


Grazia Deledda nacque a Nuoro, nel 1871, quinta di sette figli. La sua famiglia, come lei stessa affermò in occasione della consegna del Nobel, nel 1927, era composta «di gente savia, ma anche di violenti e di artisti primitivi». I familiari non condivisero il suo sogno di diventare una letterata e di dare vita a una letteratura sarda, ma lei perseverò, ostinata nelle sue intenzioni. Nonostante la contrarietà dei genitori, lo sdegno della sua comunità e lo scandalo sollevato dal parroco della chiesa paesana, che la accusò di narrare storie scostumate, la scrittrice sarda si trasferì a Roma, dove si sposò (per scelta e non per convenzione sociale) e dove intrattenne addirittura delle relazioni extraconiugali, una con un ragazzo più giovane di lei.

Scrisse di non temere le battaglie intellettuali e di essere «piccina, anche in confronto delle donne sarde, che sono piccolissime, ma ardita e coraggiosa come un gigante». Nella gloria che il Nobel le conferì aveva molto sperato, non per sé stessa, ma per l’amata terra sarda, per i suoi paesaggi, gli animali e le tradizioni.

Era consapevole che quell’ignoranza in cui era stata cresciuta poteva essere giustificata dall’arretratezza culturale di un popolo fiero, tuttavia «vilipeso e dimenticato», come lei stessa lo aveva definito.

L’assessora all’Istruzione e alla Cultura, Alessandra Peddis, intervenuta alla serata, ha sottolineato: «Grazia Deledda non è stata solo una scrittrice, ma l’emblema dell’emancipazione femminile delle donne sarde. La sua narrativa ha dato un contributo fondamentale alla letteratura italiana. Intendiamo rendere fruibile ai nostri ragazzi, nelle scuole, questo patrimonio culturale così importante. Anche grazie alla traduzione dei suoi libri in tante lingue, l’autrice si è fatta portatrice nel mondo dell’identità del popolo sardo, rappresentando per noi motivo di grande orgoglio».

Alessia Caddeo (Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.) © Riproduzione riservata

Immagine in evidenza: un momento della presentazione del docufilm su Grazia Deledda, con Alessandra Peddis e Alexandra Cabella

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