Strangius, 16/9/2023

 Serramanna - Verità’, storia ed esilio nella sesta serata del festival Stràngius

Ha fatto tappa nella casa campidanese Onnis Pacini la sesta giornata del festival Stràngius, sabato sera. Ospiti l’avvocato Davide Steccanella con i suoi due libri La giustizia degli uomini (Mimesis) e Gli anni della lotta armata (Bietti), coordinati da Federico Serratore, e il saggista ed ex brigatista Paolo Persichetti con Esilio e castigo. Retroscena di un’estradizione (Città del Sole) e La polizia della storia. La fabbrica delle fake news nell’affaire Moro (Deriveapprodi), coordinato da Maria Grazia Medda.

Davide Steccanella ha parlato di verità processuale, spiegando come non sia affatto una verità oggettiva ma relativa, che alle volte non coincide con la realtà storica, e riflettuto sull’impatto importantissimo che hanno i media su casi che divengono di dominio pubblico.

«Ogni volta anticipiamo la sentenza prima ancora che cominci il processo. Trovo segno di abbassamento culturale questo continuo inneggiare alla galera. Perché - ha detto Steccanella - dobbiamo per forza volere dei colpevoli? Non vorrei fosse una forma di frustrazione e quindi ci rassicuri l’idea di queste pattumiere cittadine dove buttare tutti i devianti».

L’articolo 27 della Costituzione sancisce che il carcere debba tendere alla rieducazione dell’individuo e insistendo su questo concetto Steccanella ha affermato che proprio il reinserimento del deviante dovrebbe essere l’obiettivo principe di ogni società civile. L'autore considera anche l’ergastolo una pena anacronistica:«Pensate a qualcuno che commette un delitto efferato a 22 anni. Vogliamo pensare che dai 22 anni ai 90 anni questa persona non cambi mai e debba stare sempre in quell’antro chiuso? Come si fa a immaginare una cosa del genere? Ci sono più di mille ergastolani ostativi in Italia, che davvero vuol dire fine pena mai: la chiave viene buttata via e ci sono persone che rischiano di rimanere in una gabbia per 50 anni», ha aggiunto Steccanella.


Da qui la serata si è spostata sui temi del secondo libro presentato, Gli anni della lotta armata, nato dall’esigenza dello stesso autore di comprendere il contesto storico reale in cui si inserisce il caso Moro, andando a intervistare al riguardo chi quella storia l’aveva condotta e vissuta.

Paolo Persichetti si inserisce in questo spazio, cominciando a raccontare a partire dal momento della fuga ai suoi anni in Francia, dove ha studiato e lavorato. Nel 2002 quando venne ucciso in Italia Marco Biagi, cambia qualcosa: «Io stavo all’università, in Francia. Sentii l’accaduto alla tv e c’era una testimone che aveva visto una persona coi capelli ricci e neri con uno zainetto in tela. Mi tesero una trappola. Andai a una cena e lì trovai una decina di agenti dell’antiterrorismo. Alle cinque di mattina eravamo al Monte Bianco dove mi consegnarono alla Digos» ha raccontato Persichetti.

Una storia difficile, che avvince per la ricchezza di eventi e colpisce se si esercita anche solo un minimo sforzo immaginativo. Colpiscono soprattutto le parole che il saggista dedica alla sua condizione di esiliato. «L’esilio è una condizione da cui non si esce. Io vivo in Italia ma mi sento straniero in patria, io non ho più un luogo. Non sono italiano né francese, non sono niente, l’appartenenza non c’è l’ho più».

Una serata che ha fatto emerge una giustizia di vecchia impostazione, alle volte nemmeno così giusta, e un senso della storia troppo spesso distorto dalla politica.
Una serata che, come sempre avviene a Stràngius, lascia spazio per riflettere.

Eleonora Serpi (Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.) © Riproduzione riservata

Immagine in evidenza: Paolo Persichetti con Maria Grazia Medda

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