Bombardiere Americano B25

 Gonnosfanadiga - Il racconto di Caterina Uccheddu sul bombardamento del 17 febbraio1943 e il ricordo di Francesco Meloni sulle conseguenze

Passano gli anni ma a Gonnosfanadiga rimane vivo il ricordo del tragico bombardamento del 17 febbraio 1943 sotto cui caddero numerose vittime.

A distanza di 81 anni, parlare di guerra, oggi, dovrebbe significare solo commemorare tragici eventi del passato, mentre i terribili conflitti in Ucraina e a Gaza testimoniano quant la guerra sia ancora una ferita aperta.

Tra i testimoni del bombardamento che insanguinò le strade di Gonnosfanadiga nel ‘43 c’è Caterina Uccheddu, classe 1939: «Avevo soltanto quattro anni e ancora oggi ricordo bene il rumore assordante degli aerei che sganciarono le bombe. Stavo giocando al sole in cortile con mia sorella Severa che era convalescente, ma volevo recarmi dalla vicina, dove solitamente si riunivano tutti i bambini del quartiere a giocare. Mia madre, dopo il mio piagnucolare, mi diede il permesso di andare: mentre scendevo in strada vidi un pezzetto di gesso per terra, nella piazzetta di fronte alla casa che stavo raggiungendo. Tornai indietro per farlo vedere a Severa e mi misi a disegnare sul pavimento rosso del cortile. Poco dopo sentii un rumore terrificante di aerei che provenivano dalle montagne di fronte a casa. La nostra vicina cominciò a contarli: uno, due, tre... fino a nove, urlando a mia madre di portarci dentro casa perché quegli aerei non erano dei nostri. Appena rientrate, a casa nostra esplosero tutti i vetri, mentre nell’abitazione dove stavo andando a giocare morirono in quattro: un bambino, Ilario, mio amichetto, una ragazza più grande di 12 anni, e i due padroni di casa. Dopo due ore chiusi dentro casa scappammo in campagna, assieme ai miei nonni, arrivando in un uliveto pieno di sopravvissuti che piangevano disperati. Nella fuga passammo anche davanti alla casa dei vicini, dove vidi che aspetto aveva la morte: nessun spargimento di sangue, ma solo dei corpi con grosse macchie di bianco sui vestiti, come se fossero stati cosparsi di calce viva, trasportati via su delle barelle dei militari».


Significativa è pure la testimonianza di Francesco Meloni, che fa riflettere sulle conseguenze terribili del bombardamento, anche a distanza di anni: «Quando gli americani finirono di bombardare il sud della Sardegna abbandonarono degli ordigni che non potevano portare all’aeroporto per fare rientro a Biserta. Il 3 agosto del ‘45, dopo una mareggiata, un ordigno riemerse da sotto la sabbia in una località marina di Arbus e due gonnesi lo trovarono sulla battigia. Uno era un fabbro e decise di smontare la spoletta per togliere la polvere da sparo, nonostante i rimproveri di alcune famiglie in vacanza sulla spiaggia. Alcuni bambini incuriositi si avvicinarono per osservare l’ordigno quando esplose la spoletta. Morirono in sedici, fra cui mio fratello Giovanni che aveva tredici anni».

Questa tragedia, ricordata come la strage di S’acqua Durci, avvenne proprio quando il popolo cercava di lasciarsi dietro le spalle le sofferenze e la desolazione dei lunghi anni di guerra. Come la storia ha insegnato era, però, ancora lungo il percorso per rivedere la luce.

Alessia Vacca © Riproduzione riservata

Immagine in evidenza: un bombardiere americano (B-52) in azione


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