La stella di monte Fortuna

«Siamo i mesi dell’anno - rimarono quasi leggendogli in cuore - che bene o male fanno!»

Quindi lo lasciarono rimpinzare a lungo, prima che Gennaio desse assolo alla curiosità.
«Che si dice di me tra gli uomini?»
«Il tuo freddo dà loro vigore. Vero che porti la neve, ma sotto c’è il pane. Perciò i poeti ti cantano!»
«E come?»
«Quando in gennaio risplende la luna, la donna innanzi fa duna!»

«Di me invece che si dice?» scorò pertanto Febbraio.
«Porti pioggia ma ricolmi i pozzi. Allaghi sì i campi, però sciogli le nevi!»
«Insomma, si dice bene?»
«Si dice benissimo!»

«E di me?» smelodiò Marzo.
«Consenti ai primi fiori di nascere e soffi il vento che asciuga. Sgomberi le nubi e sui solchi spargi semenza!»

«Dimmi di me!» sritmò Aprile.
«Tu di fiori incoroni la campagna, tessi i nidi e ispiri canto agli uccelli.
E per quanto poté, elogiò a suo modo ogni mese. Fino a Dicembre. Tanto che al rischiarare, quelli vollero compensarlo.

«Umile tovaglia pare - conclusero immancabilmente in coro - ma stendila al bisogno, per ordinare!»
Raffaele li ringraziò. E dicendosi soddisfatto invertì subito la rotta, verso il borgo e verso casa.

«Disponi la tavola, moglie mia!» urlò giungendo sul fiammeggiare di cielo.
«Hai portato da mangiare?» specificò lei, vociando nondimeno.
«No, consorte adorata!»
«Allora che dispongo a fare?»
«Non dartene pena e stendici sopra questa tovaglia!»
Obbedì come è dovere di una buona moglie, ma stette al desco perplessa come è dovere della buona ragione.

«Da sfamarsi a sazietà!» ordinò lesto Raffaele.
E subito frègula cun còciula e anguìdda arrustìa, tutto innaffiato di ottimo Semidàno. Poi ancora sebàdas e muscarèddu, da pascersi come scappati di prigione. A fare tra tutti, il più bello Natale.

A sapere lo venne il fratello ricco, che glielo aveva detto sua comare che glielo aveva riferito la cugina.
«Voglio andarci pure io sul Monte Fortuna!» affettò alla moglie, ma chiaro e tondo.
«Sperditi!» unghiò invece lei, esplicita altrettanto.

Sbaulò pertanto Raimondo l’intonsa pelle da pastore e diede passo al suo ingordo vagabondare.

Arrampicò di lena il Monte Fortuna fino a che scorse il lume lontano come la stella dei marinai, scia di cometa che lo condusse in capo a un’ora alla fessura della grotta rischiarata all’interno.

Fine secondo episodio

Ignazio Pepicelli Sanna © Riproduzione riservata
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