La regina dei monti

 

«Ti ricorderà di me, laggiù a Serramanna. Ma ha valore fintanto che resta serrata, se tornare volessi. Allora vai alla radura e chiamami!»

«Come, se non so il tuo nome?»

«Non importa saperlo. Chiamami col cuore e io ti sentirò!»

Quindi lo ricondusse ai dorati cancelli, dove attendeva l’aquilotto.

Finalmente alla radura, la scatola d’oro sotto il braccio, niente gli avrebbe impedito di correre a casa. Solo gli parve che tutto intorno - la radura, il viale, gli alberi - fosse diverso. Pensò per un attimo che il fedele aquilotto avesse confuso il luogo. No, era quello giusto. Solo gli pareva diverso.
«Questi giorni mi hanno davvero stordito!» sorrise a se stesso.

E imboccò fischiettando la via di Serramanna.

Ci giunse che il giorno si era svegliato da un pezzo. Il mercato del lunedì chiasseggiava come al solito, ma non un viso conosciuto. E così le case. Tutti lo osservavano alla stregua di uno straniero, i bambini addirittura gli corsero dietro. Un brivido serpeggiò lungo la schiena allo stesso modo del suo muovere verso casa. Ma un’altra c’era, non la sua. Peggio però della casa, non c’era la moglie. Si abbandonò a un lungo pianto, così a dirotto che a piccoli gruppi presero ad attorniarlo - incuriositi - i paesani.

«Chi sei, straniero? - gli domandò un vecchio di folta barba bianca - Cosa cerchi qui, con tanto dolore?»

Ogu Puntu ritrovò perlomeno se stesso.

«Sette giorni fa ho lasciato qui casa e moglie. Torru, e nudda agàtu

«Ma tui chini ses?» sbalordì il vecchio.

«Ogu Puntu, su cassadòri

Un brusio di meraviglia colmò l’aria. Tutti nel villaggio sapevano la storia di Ogu Puntu, uscito una mattina di settant’anni prima per cacciare e mai ritornato, lei da non reggerle il cuore e sepolta al piccolo cimitero.

«Uno spettro, sei?»

Lui però non li sentiva, tutto finalmente chiaro. I sette giorni trascorsi al palazzo della regina dei monti erano stati in realtà anni. Settanta.

Una disperazione profonda si impossessò di lui, che col passo barcollante dell’ubriaco lo ricondusse alla radura dove a lungo rimase fermo e dritto, albero anche lui. La scatola d’oro stretta sotto l’ascella.

Che fare? Schiuderla o lasciare al cuore di urlare il nome non saputo della regina dei monti? Detto gli aveva che racchiudeva la sua vita, e perduta l’avrebbe ad aprirla.

«Fosse invece illusione da svanire al sollevare di coperchio? Asinùncas ita ci perdu a ‘ndi morri?

Assòlu che bagamùndu, seu

«Bentornato!» gli giunse voce chissà da dove.

Sorpreso guardò fino a dove l’occhio poteva giungere, ma nulla. Pensò di essersela immaginata, anche se afferrò l’arco.

«Sono io, non mi riconosci?»

Era l’aquilotto. Sì, proprio quello che aveva salvato.

«Tui ses?» rispantò.

«Sì. Dall’alto ti ho veduto e ho planato per prenderti!»

«Comènti bènit a essi, chi no hapu tzerriàu?»

«Col cuore sì. Ti senti di seguirmi?»

Lui lo ingroppò uguale uguale al molentèddu, da afferrarsi alle penne con le due mani per non cadere di sotto. E ancora poté ammirarli da sopra gli anelli di nubi come boccate di pipa degli dei, prima che i due pavoni tutti blu gli porgessero tunica e pantofole dello stesso colore. E via sulla scala di marmo che i sette piani saliva a spirale, fino alla porta d’oro.

«Avanti!» invitò di voce soave la regina.

Da lì, lo assicurano i vecchi di Serramanna, Ogu Puntu non andò più via.


Fine

Ignazio Pepicelli Sanna © Riproduzione riservata

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