La regina dei monti

 

Una moltitudine di uccelli di ogni dimensione, forma e colore, svolazzava di qua e di là. E davanti a lui, in pari fulgore, scintillava d’oro e smeraldi un vasto palazzo. Due grosse aquile a tre teste ne custodivano l’ingresso, in occhi così di fuoco che Ogu Puntu se li sentì addosso manco volessero incenerirlo. Istintivamente si strinse all’aquilotto.

«Non oseranno aggredirti - certificò quello - perciò scendi e cammina, ci devi entrare da solo!»

Al che lo raggiunsero due pavoni tutti blu, alla stregua di valletti

«Vai con loro!» sentenziò l’aquilotto.

Lui tentennò. Dove intendevano condurlo?

«Non temere - ancora tranquillizzò - qui sarò al tuo ritorno!»

Gli porsero pertanto una tunica dello stesso loro colore e pantofole pure azzurre, poi dentro lo invitarono a salire una scalea di marmo che saliva a spirale per sette livelli. Alla fine una porta d’oro. Ogu Puntu bussò.

«Avanti!» invitò da dentro, soave, una voce di donna.

Si ritrovò in un’ampia sala, la cui stupefacente magnificenza riuscì quasi ad accecarlo. Venti colonne di purissimo cristallo foravano il pavimento di corallo fino al soffitto, pendente di lampade e preziosi. Al centro un trono. Ci sedeva, sfolgoranti biondi capelli, una donna cinta sull’ombelico di un grosso rosso rubino. Sul dorso ali possenti e artigli ai piedi.

«Sei una donna o un’aquila?» balbettò domanda il cacciatore.

«Sono la regina dei monti!»

Era bella come l’alba che dissipa il fulgore delle stelle. Ogu Puntu fu certo di non averla veduta sua una creatura più luminosa di quella.

In cenno di mano lei fece cenno di avvicinarsi e lui accennò a prostrarsi.

«Io devo chinarmi a te - lo arrestò lei in risollevare di dita - perché il mio aquilotto hai salvato. Perciò ti ho fatto venire!

Ogu Puntu non sapeva che rispondere. Difatti tacque.

«Vuoi visitare il palazzo?» dissipò imbarazzo la regina.

Lui annuì in segno di capo e lei se lo prese per mano. Mille stanze, fuori il giardino in quattro grandi appezzamenti rappresentanti le stagioni.

La Primavera, ricca di pruni e ciliegi, in pendenti rami pesanti di fiori e di frutti sull’erba verde e rorida. Migliaia di uccelli ci intonavano le più dolci e fantasiose melodie.

Più giù l’Estate, abbondata di fichi e peschi, i rami pure piegati dei frutti succosi. Grilli e cicale empivano l’aria del loro concertare, il grande caldo mitigato dai freschi sbuffi del Maestrale.

Sulla sinistra l’Autunno, in parte immenso tappeto giallito di foglie morte, l’altra imbiancata di crisantemi.

A destra, fioccato di neve paro paro una piantagione di cotone, l’Inverno raggelava fiati e acque.

Stordito di quell’incanto, Ogu Puntu ci soggiornò una settimana, deliziato della immancabile regina. Se l’era scordata, l’amata moglie. Ma un giorno il ricordo di lei lo afferrò improvviso, affliggendolo il senso profondo della solitudine e della colpa. Sospirò.

«Non sei felice, qui?» colse la regina.

«Penso a quella poverina di mia moglie che certo mi piange morto!»

Lei lo fissò di occhi che mai prima d’ora erano stati tristi. Ma gli lasciò la mano e risedette sul trono.

«Non posso e non voglio tenerti per forza - parlò da regina - puoi partire. Anche se so il ritorno foriero di pianto!»

E gli diede una scatola d’oro, siglata rosso infuocato del suo sigillo regale. Gli occhi le brillavano di viva commozione.

 
Fine secondo episodio

Ignazio Pepicelli Sanna © Riproduzione riservata

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