La regina dei monti

 

Nel corso di una delle voltate di clessidra dei secoli, nella più buia viuzza del villaggio di Serramanna stava un cacciatore, talmente infallibile nello scoccare d’arco che tutti lo dicevano Ogu Puntu.
Non si ricorda quando. Certo una sera che ritornava di caccia totu prexàu per avere infilzato tàculas in grande abbondanza, lì sui monti della vicina Villacidro. Fu allora che in una radura scorse quattro ragazzetti catturare un aquilotto e sollecitarlo a volare sapendo di obbligarlo a terra per via di una cordicella legata alla zampetta. La povera bestia gridava, di dolore e di paura, solo ottenendo più alte le risa dei discolacci.

Mancài cassadòri, Ogu Puntu odiava la crudeltà inutile.

«Labài chi Dèus - intervenne - vi alza la mano de sa pròpriu manèra

«Agatàu dd’eus? - arrogantò su prus mannu - ‘Ndi fèus su chi si pràxit

Comprese bene che non lo avrebbero ascoltato, da mutare strategia.

«D’accordo - allentò - allora vendetemelo. Ve lo pagherò più di quello che vale. E davvero ve la spasserete, stasera!»

Ai giovinastri non parve vero e furono lesti ad accettare. Così Ogu Puntu se lo prese lui l’aquilotto, a cambio di pochi arriàlis.

«L’hai scampata - pontificò - ma poni maggiore attenzione in futuro!»

E si trattenne a guardarlo volare alto e sparire fra le nubi bianche attorno alla vetta, simili a boccate di pipa degli dei. Poi via, verso Serramanna.

«Accendi il fuoco, moglie mia!» vociò molto fuori dell’uscio.

Lei ne sapeva tanto le stravaganze quanto il carattere giocoso, perciò gli diede retta come al solito - cioè niente - tutta occhi per quel bendidio che avrebbe cucinato di antica sapienza. E fu una solenne mangiata.

La mattina presto il giovane uscì di paese per la nuova caccia.

«Asumàncus su dopiu, hoj!» fanfaronò a se stesso.

E accelerò il passo, giungendo al monte che il sole ancora si stiracchiava.

«Bentornato!» gli giunse voce chissà da dove.

Sorpreso guardò fino a dove l’occhio poteva giungere, ma nulla. Pensò di essersela immaginata, anche se afferrò l’arco.

«Sono io, non mi riconosci?»

Era l’aquilotto. Sì, proprio quello che aveva salvato.

«Tui, sesspantò.

«Sì. Dall’alto ti ho scorto e ho planato, giacché non ti avevo ringraziato!»

«Si cumprèndit, atzicàto che eri!»

«Lo faccio adesso. Te la senti di seguirmi?»

«Aùndi

«È una sorpresa!»

«Molto ci vuole?»

«Non troppo. Seguimi!»

E fece per spiccare il volo.

«Abèttas - lo trattenne Ogu Puntu - io mica ne ho di ali!»

«Non preoccuparti - rassicurò l’altro - saltami su e tieniti stretto!»

E chissà perché si appressò a cavalcarlo, uguale uguale al molentèddu.

«Ma ses pitichèddu!» non mancò però di notare.

In quella l’aquilotto crebbe a vista d’occhio, mutandosi in aquila reale.

«Beh, che aspetti?» sollecitò.

Ogu Puntu ne aveva viste troppe da quella bestiolina per stupirsi ancora. Pertanto la ingroppò, uguale uguale al molentèddu.

«Trattieni sguardo e respiro se ti manca il cuore!»

E in quella sbatté le ali possenti, scoccando veloce come un dardo di Ogu Puntu, che dal canto suo dovette afferrarsi alle penne con due mani per non cadere di sotto. Da mancarne il cuore e non aprirli, gli occhi.

I minuti snocciolarono infiniti prima che l’aquilotto smettesse di salire.

«Ora puoi guardare!»

E aprendoli Ogu Puntu poté ammirarli standoci sopra gli anelli di nubi che parevano boccate di pipa degli dei.

 


Fine primo episodio

Ignazio Pepicelli Sanna © Riproduzione riservata

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