I due sosia

Alcuni avevano enormi occhi sulla fronte, altri nasoni lunghi e stretti, altri ancora grossi e grassi. Qualcun altro labbra da congiungere un orecchio all’altro, rotonde e schiacciate entrambe, tipo stampo per pani.

Manco lo avessero scelto apposta, sedettero in cerchio attorno al grosso tronco di sughera, usi di farci notturno picchetto. Marièddu invocò santa Teresa, la patrona, in promessa di cero a farlo coricare nel suo letto. «A si ‘nd’andài de pressi!»

Ma perfino i santi di notte se la dormono, che in quella sfiatò un suono di organetto e gli spiriti del bosco presero a sgolare mutètus, tracannando fiumi di ottimo bovàle.

«Bùffanta che barrìlis - stupì il giovane - a narri chi funti cuàddus!»

E si sporse dal grosso cavo.

Poté così notare che uno soffiava aria d’essere il capo, e sètziu de schina al grosso tronco fece comparire no scìu cantu cosa de papài. Còrdulas e tratàlias e filatròtas. A non mancài su filufèrru.

Si divertivano ma non troppo. Meno di tutti proprio lui, il capo.

«Làstima non si sappia ballare - incupì - cussu est a si spassiài!»

Marièddu invece - lui sì - scracalàva in cuore rigonfie risate. E talmente si sporse da precipitare in tonfo sonante, rovesciando la brocca di bovàle e versandolo sull’erba già umida di suo, a quell’ora.

«Chi sei tu - tuonò lo spirito capo - da disturbare la magia della notte? Sai che potresti perirne?»

«Vengo a farvi ballare!» azzardò Marièddu.

«Davvero sapresti farlo?»

Fortuna lui veramente saltava su ballu tundu alle sagre della Marmilla, ed era piuttosto bravo.

«Sarà per me un piacere - spocchiò - per voi una soddisfazione!»

«Intzàndus movirìndi - tuonò ancora quello - e guai se hai mentito!»

Forse fu la paura, fatto sta che ballò parendo spiritato lui pure, senza più sapersi fermare. Piroette, balzi, capriole. Un tale ossesso che quegli altri ne rimasero sorpresi e ammirati. E quando infine si placò - non ne poteva più - scrosciarono tutti in un lungo applauso di compiacimento.

«Bravo - lodò lo spirito capo - nessuno balla come te. Noi ti ringraziamo, e prexèri ne avremmo de buffài cumpàngius cun tui!»

Pertanto gli porse, traboccandola, la coppa più grande.

Ne gongolò Marièddu, che tracannò e masticò a dismisura, guardandosi sceti di eccedere in presunzione.

«Togo la mia danza vi sia piaciuta - confessò - temevo avervi guastato la festa di tanto imbizzarrire!»

«Invece ci hai strabiliati!»

«Posso perciò tornare a casa?»

«Sicuro. A patto che torni domani!»

«Non chiedo di meglio!»

«Poco vale la parola umana, senza aggiunta di pegno!»

«Che posso darvi? - ne avvilì Marièddu - Possiedo solo questi stracci!»

«La verruca che abbellisci in viso - osò quello - per te preziosa quanto per noi occhi e orecchie e bocca!»

«Ve la lascio senz’altro!» non parve vero a quell’altro.

Al che uno degli spiriti - forse lo stregone - gli allungò il braccio peloso, e con l’unghia del dito indice più lunga e affilata di un artiglio gliela asportò dal viso che manco su dotòri, cadendosene facile facile alla stregua di un frutto troppo maturo.

«Bènis cras a noti - chiosò lo spirito capo - e ti dda torru!»

Marièddu ancora rassicurò, poi salutò e si allontanò di passo lesto, prima che a qualcuno passasse per capo di fargli mutare richiesta.

«Col cavolo che torno - promise invece a se stesso - ve lo lascio il pegno, bonu prori vi faccia!»

 

Fine secondo episodio

Ignazio Pepicelli Sanna © Riproduzione riservata

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