Tele e ragnatele

«Punta ti hanno la lingua i corvi?» la riprese quello risvegliandola dal sonno uguale uguale a un tuono nella notte.

E fu de aìci che Lucaria gli pianse tutta quanta la sua disperazione.

«Sceti a sa morti no - pontificò il saggio e magico orco - chi a totu s’atru ge c’est s’arrimèdiu. Ma prima guarda sotto alla berrìta, che uno scraffìngiu grande mi tormenta, comènti se minuscoli orsi ci si stessero grattando la schiena!»

E chinando la sua di doloranti ohi ohi, le porse il capoccione canuto.

Graziosamente Lucaria glielo unghiò ciocca per ciocca come raccogliendo in una piantagione di cotone, e subito i piccoli orsi cambiarono foresta.

«Ih - annotò sottolineando stupita la giovinetta - parendo mi è una corona bianca!»

«E d’oro est cussa che coìta coìta fonde per te la sorte!» chiosò di rimando quell’altro, che si sberrittò come era solito al passaggio di Nicolino, il santo patrono.

Cogliendone il fare sacrilego di prete sconsacrato, con garbo Lucaria gliela riappose.

«Di spine invece alla stregua di nostro Signore - lamentò poi di contro - me l’apporranno le malefiche jànas di Bruncu Maddèus!»

«Nossi, che mi dai ascolto. Arribàda chi ses davanti allo spuntone di roccia, sa domu colpisci col perdigòne più grosso che ti riesca di sollevare. E de pressi quelle - jànas marjànas chi funti - ti chiederanno de ‘nci cravài l’indice destro in su stampixèddu di lato all’ingresso de perda tostàda.

Guai a tui. Tui cravànci invece un ramoscello sicàu sicàu de tzinìbiri. Impròsale de aìci e vedrai che non mancheranno di lasciarti entrare. E jàna marjàna tui puru, omaggiale de cùstus fuèddus antìgus.

Mani magiche al telaio
danno intreccio d’oro e gaio
che il merluzzo non lo pesca
l’amo nudo senza esca

Torra de pressi ti condurranno intzàndus in una seconda grotta, e ingùni troverai quattro ragni - mànnus che pisìtus - filando lana nera di pecora. Tui chi pòrtas mànus bèllas, offri il tuo aiuto senza che ti venga chiesto. Non sarà per niente, che in una terza grotta ti verrà mostrato un muntòne de mantixèddas nièddas comènti a su noti. Tui sciobèras le peggio e quelle te ne torneranno le meglio!»

Lucaria l’ascoltò di perplesso silenzio, ma comunque ringraziò. Quindi se ne riandò per il fatto suo, gambixèddas de solìtu che era.

Giunse allo spuntone di Bruncu Maddèus che il disco del sole già ruzzolava la picchiata verso il tappeto del mare, quasi un rosso aquilone all’affievolirsi un poco ammandronàto del vento Maestro. Unu cogòru scagliato a misura delle sue esili braccia fu batacchio, ed eccole le jànas domandarle l’indice destro. Lei porse il fuscello e quelle pressi pressi lo troncarono di netto, in stridulo ridacchiare di faine. Ma quando infine la fecero entrare, spantàdas rimasero che Lucaria volle - mancài totu - omaggiarle del mottetto imparato a memoria. Anche se prima volse un grato pensiero a quel saputone di orco che glielo aveva insegnato.

«Ge ‘ndi scit una sceti cussu dimòniu, prus de su dimòniu e totu

E solo allora le parole magiche e sacre della tradizione. Quelle che i vecchi di Guspini dicono essere is abrèbus.

Mani magiche al telaio
danno intreccio d’oro e gaio
che il merluzzo non lo pesca
l’amo nudo senza esca

Fu allora condotta alla seconda grotta, dove quattro grossi ragni - mànnus che pisìtus - tessevano senza sosta di zampe unu muntòni di nerissimo filo di pecora nerissima.

Fine secondo episodio

Ignazio Pepicelli Sanna © Riproduzione riservata
Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

← Torna all'elenco degli episodi

FacebookFollowersYoutube white Instagram white Twitter

 

 

WhatsApp

Appuntamenti di cultura, incontro, socialità

Lun Mar Mer Gio Ven Sab Dom
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
13
14
15
16
17
18
19
20
21
22
23
24
25
26
27
28
29
30
31

Medio Campidano in breve