Filatori di lana


«Gesù Cristu de sa cruxi - si segnò Perdu scorgendo la ragazza bianca del manto di pecora da servo pastore, troppo nodoso perché glielo avessero filato loro due - dèpit essi sa chi funti circhèndi

«Antonìca!» annuì Grazianèddu, calando il capo in rinforzo all’assenso.

E mostrò al padre le lunghe trecce bionde. Che avvicinatosi ginocchioni e palmi sul pavimento a meglio scrutarla, quella intimorì degli occhialoni in spesse lenti a cavalcioni sul naso lungo e butterato, e prese a piangere. A modo suo contrariato, Perdu si drizzò e andò a insaponarsi le mani, che avevano proprio bisogno di essere lavate.

Pitìcu su dannu che dovevano pagare. Si era peraltro levato un Maestrale de aìci friru da infilare le sue dita gelide sotto i vestiti e sotto la pelle, che più del corpo intirizziva l’anima.

Troppo era, se il vecchio afferrò dalla cappelliera sa berrìta e dalla parete su baculèddu, giacché ogni sera a quell’ora era uso raggiungere gli amici in vineria da tziu Barrìli, per rincasare barcollante fatta notte.

«Ddu pàrrit momèntu de buffài?» osò il figlio rimarcare al babbo.

«Bandu a Lunamatròna - ratificò quello - no bollu cèrtus cun nisciùnus

La pastorella riprese a piangere che neppure un raduno di prefiche.

«Facciamoci almeno raccontare!» mostrò prus sentìdu Grazianèddu.

Sembrò lo stesso a Perdu, che riappiccò sa berrìta alla cappelliera e alla parete su baculèddu.

«Ascurtàus!» salomonò.

Sedette pertanto davanti al focolare fumigante, e Antonìca raccontò.

«Mi tzèrriu Antonìca, bellixèdda e pitìca. Ogni mattina nelle campagne di Lunamatrona giungevo al pascolo con le settanta capre di Arremùndu, su meri chi no bàndat a fundu. Ogni mezzogiorno mangiavo pani e casu alla fontana da dissetarci il gregge. Ogni sera ritornavo al villaggio, cantando lietamente. E pecoraio non c’era e né mercante e né contadino che non mi salutasse per via.

Cussa si tzèrria Barrosànna, legixèdda e manna. Così tanto ero io garbata e premurosa, dello stesso lei selvatica e maligna. Si rodeva dall’invidia al punto tale che diventava ogni giorno più brutta e più antipatica. Giunse a nutrire per me un odio sordo, che a sfogarlo mi faceva continui dispetti. E si rodeva il fegato del fatto che io mai le tornassi vendetta.

Un pomeriggio dei tanti, mentre pensierosa intagliavo il nuovo bastone in ginepro, silenziosa come neve Barrosànna spinse le capre di Arremùndu verso sa Coròna Arrùbia. E lì, tra i boschi di lecci, le disperse. Che quando finalmente io riguardai attorno, non c’erano più. Invano tesi l’orecchio al tintinnio delle campanelle, invano scrutai le orme sui sentieri.

Pertanto meri Arremùndu mi cerca per bastonarmi, Barrosànna invece se la sganascia alle mie spalle!»

«Burrìcu e stria - infervorò Grazianèddu - imòi ci pentzu deu

Fu Perdu, questa volta, ad acconciare sa tiàla de su sentìdu.

«Ascùrtas a mei, bellixèdda - asseriò - comènti notèsta ‘ndi càlat sa luna, tòrrat a Lunamatròna e bàis a sa tumba dei gigàntis Su Cuàddu de Nixìas e intràt in su stampu. Pagu tèmpus, e calincùnu ge hada arribài

Non è che Antonìca ne fosse proprio convinta, ma come un suggerimento le tornarono alla mente le parole bambine dell’adorata nonna.

Candu macu est su fuèddu
e su celu est fatu nièddu
bìstit intazàndus su mangiànu
is colòris de berànu

E rinfrancato il cuore, col passo lieto del pellegrino si incamminò.


Fine secondo episodio

Ignazio Pepicelli Sanna © Riproduzione riservata
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