Le tre sorelle 

«Stavi seduto alla mia ombra e le mie fronde ti avvolgevano - rimproverò il ginepro - ma tu non hai compreso il mio abbraccio d’amore!»

«Ti ho arricciato i capelli delle mie dita soffiate - ammonì il vento - ma tu non hai compreso la mia carezza d’amore!»

«Ho posato su di te le mie torride labbra - biasimò il sole - ma tu non hai compreso il mio bacio d’amore!»

Tanto che Ciriaco sentì il sangue scorrere impazzito nelle vene, bruciante in unico ceppo desiderio e sconforto. Attorno i gigli intonavano il canto di mille flauti. E quando infine il Monte Lìnas lanciò sul sole al tramonto una grossa nube, simile a una fitta rete di pescatori, il giovane calò pure lui le palpebre all’attesa del nuovo giorno.

Levatosi all’alba si pose in cammino. Una stellina di smeraldo non ancora sbiadita lo seguiva a indicargli la via, fino a che Ciriaco accostò un’ansa del Rio Pìras che sinuava tra giunchi e canne, a udirne il brusio come una orazione. L’acqua limpida gli rifletteva il volto beato, saziandosi lo spirito alla fuga della corrente. Sull’aurora il sole gettò cascate di raggi.

«Che bello!» entusiasmò il poeta, elevando alto il proprio estro.

All’alba talvolta la luna si sbrina
e d’ala leggera morendo mi sfiora
il braccio vorrebbe afferrarla allora
temendo che l’occhio ne tenti rapina

Non pensava più alla gara che cominciava. Non a Marìka, la bella figlia di tziu Chichìtu che aveva voce d’usignolo e anima di luce. Regalava adesso al mattino le perle dei suoi versi innamorati e commossi, supino sull’erba ancora rorida di rugiada.

Il tempo fluiva come il fiume a valle, e Ciriaco non finiva mai di cantare. Il cinguettare degli usignoli gli rispondeva, sullo spartito del mattino.

Ma d’un tratto l’incanto si spense nel brontolio di un tuono lontano. Tutto ammutolì, perfino il suo cuore.

«Surdu che mola dd’has fatu - gli arrivò voce - peggio per te!»

Era la vecchia fata, furiosa quanto un temporale estivo.

«Alzata ti sei col diavolo appeso alla fardèta?» ne stupì lui.

«Chi meda riposa - spazientì lei - la fortuna non sposa!»

«La gara!» sbadigliò Ciriaco, come risvegliato da un decotto di papaveri.

E ne pianse calde lacrime.

«Tziu Chichìtu già ne ha ascoltato di versi - acquietò la vecchia - ma gioie false le ha sentite, pesanti e scure più del dubbio. I tuoi, invece, spiegano ali di luce e rischiarano al pari di gemme!»

E pronunciando uno dei suoi incantesimi, lo sputò sulla piazza di Gònnos.

«Il solito sbadato - pizzicò il ricco signore - da giungere a gara conclusa!»

Cacciarlo avrebbe voluto, non lo avessero punto come spilloni gli occhi di Marìka. Allora tacque e Ciriaco cantò.

Tutta bianca e il tetto rosso
dell’amore issato ho casetta
il letto mare di fuoco e mosso
del pane ristora e nel vino diletta

A giorno il sole in torridi getti
dell’oro suo intera la bagna
le canta in rima la campagna
radi stornelli e soverchi mottetti

Le rondini sì hanno promesso
e pure i passeri lo stesso
le une il nido questo altr’anno
gli altri uguale in meno affanno

Casettina di campagna
anche tu mi pari un nido
più di un cuore io ti affido
il mio e della mia compagna

«Lui ti avrà - esultò tziu Chichìtu a Marìka che palpitava un rio di lacrime - le sue parole sono dita pizzicanti la cetra dell’arte!»

Senza palesarsi, la vecchia non ebbe magia per frenare le sue. E quando l’invisibile cocchio la riportò al suo libro di fiabe, sentì di avere a Gònnos fascinato il meglio incanto della sua munifica carriera di fata.


Fine

Ignazio Pepicelli Sanna © Riproduzione riservata
Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

← Torna all'elenco degli episodi

FacebookFollowersYoutube white Instagram white Twitter

 

 

WhatsApp

Appuntamenti di cultura, incontro, socialità

Lun Mar Mer Gio Ven Sab Dom
1
2
3
7
9
10
14
15
16
20
22
23
24
27
28
29
30
31

Medio Campidano in breve