Europa

di Mauro Marino, esperto in economia

Siamo ancora in piena pandemia. L’ennesima variante, questa volta denominata Delta, sta facendo nuovamente aumentare il numero di contagiati e si teme che questo possa succedere anche nel nostro Paese. Per fortuna a differenza della scorsa estate abbiamo una potentissima arma per combattere l’infezione: i vaccini.

Tuttavia, nonostante oltre 500 mila somministrazioni giornaliere, c’è ancora una notevole percentuale di cittadini, soprattutto nella fascia 60-69 anni che non ha effettuato nemmeno la prima dose e non ha alcuna intenzione di sottoporsi alla campagna vaccinale. Era prevedibile che una fetta di popolazione non volesse - per paura, diffidenza o semplicemente perché contrari ad ogni tipo di vaccino - sottoporsi alla profilassi, ma si credeva che il numero fosse inferiore e soprattutto che fosse minimo per quanto riguarda gli operatori delle strutture sanitarie.

Gli operatori economici dopo mesi di sofferenza iniziano a vedere la luce in fondo al tunnel. Da parte dei cittadini c’è una gran voglia di ripartenza e di vivere un’estate senza restrizioni. Tutti vogliono ripartire e dimenticare questo brutto periodo ma i numeri parlano chiarissimo.

I posti di lavoro persi si avvicinano al milione, il Pil nell’anno 2020 è sceso del 9 per cento, il rapporto deficit/Pil è arrivato al 160 per cento e il debito pubblico sfiorerà a fine anno i 2.700 miliardi di euro. E’ una cifra assolutamente spaventosa che fa sì che ogni italiano, neonati compresi, abbia un debito di 45 mila euro.

Gli effetti della pandemia a livello economico non saranno superati prima di un quinquennio e considerando che l’Italia era già in recessione prima dell’avvento del Covid la situazione economica italiana è decisamente negativa.

Ci sono sicuramente i 191,5 miliardi di euro del Recovery che arriveranno fino all’anno 2026 di cui i primi 25 miliardi di euro già entro quest’estate ma questi fondi sono subordinati a una serie di investimenti come la transazione ecologica verde, il piano per evitare il dissesto ecologico, le infrastrutture soprattutto destinate al sud Italia, e a una serie di riforme come la digitalizzazione della Pubblica amministrazione, quella della giustizia e quella del fisco, che l’Europa ci chiede da almeno 20 anni e che noi non siamo riusciti a realizzare.

La Commissione europea fa sapere che l’Italia continua a registrare squilibri eccessivi legati all’elevato debito pubblico e quindi dovrebbe limitare la spesa corrente, aumentare gli investimenti ma mantenendo una politica di bilancio prudente. Il vicepresidente Vladis Dombrovski poi molto ottimisticamente afferma che l’attività economica nella zona euro dovrebbe tornare al livello di pre-crisi nell’anno 2022, quanto ritornerà il patto di stabilità.
In sostanza è necessario limitare le spese e incrementare la spending review (la revisione della spesa corrente), soprattutto in ambito previdenziale dove si prevede, secondo l’Europa, un aumento vertiginoso della spesa che potrebbe arrivare, alla fine del decennio, al 18 per cento del Pil.

Questo succede perché l’Italia, a differenza di tutti gli altri Paesi dell’Unione Europea, continua a conteggiare la previdenza e l’assistenza in un unico capitolo di spesa che diversamente sarebbe al pari della Germania e della Francia. Una doccia fredda per i milioni di lavoratori che alla scadenza della quota 100 speravano in un alleggerimento della legge Fornero che, unica in Europa, costringe gli italiani a lavorare fino a 67 anni.

Per l’Europa, pertanto, l’economia entro l’anno 2022 tornerà ai livelli pre-crisi. Il più grande disastro dalla fine della seconda guerra mondiale secondo i burocrati di Bruxelles sarà ricordato solo come una brutta parentesi e i paesi dell’Unione Europea dovranno ritornare nel 2022 al patto di stabilità.

Mauro Marino, esperto in economia © Riproduzione riservata

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