Pensionata in bicicletta

di Mauro Marino, esperto in economia

Gli aiuti dell’Europa potrebbero essere un’occasione per mettere mano al sistema fiscale.

La pandemia, è risaputo, ha messo a soqquadro gli equilibri dell’intero pianeta. Mettendo da parte per un momento gli aspetti sanitari che hanno causato oltre 122 mila decessi, il Covid si è rivelato anche dal punto di vista dell’economia un vero disastro per l’Italia.

Tanto per citare alcuni numeri sono stati persi circa un milione di posti di lavoro, il Pil è sceso del 9 per cento rispetto all’anno precedente, il rapporto debito/Pil ha raggiunto il 160 per cento.
Il debito pubblico continua mensilmente a stabilire record ed è arrivato alla iperbolica cifra di 2.643 miliardi di euro.

Questi disastri economici hanno svegliato Bruxelles che, finalmente, ha deciso di allentare i cordoni della borsa per fare ripartire le economie del vecchio continente.
All’Italia spetterà la fetta più grossa, 222 miliardi di euro di cui 79 a fondo perduto. Questi aiuti, che arriveranno in sei anni (ma i primi 40 miliardi di euro già nell’anno in corso) rappresentano un’opportunità unica per fare ripartire le opere pubbliche, migliorare la digitalizzazione del paese, investire nell’economia verde e inoltre approvare quelle riforme strutturali che oltre a essere richieste dall’Europa sono per l’Italia assolutamente necessarie.

Tra queste, una in cui è possibile intervenire da subito è la riforma fiscale, in modo che i suoi effetti possano già decorrere dal 1° gennaio dell’anno prossimo.
Attualmente in Italia esistono cinque scaglioni di aliquote Irpef, l’imposta sui redditi delle persone fisiche:

Tra 0 e 15.000 Euro Aliquota al 23%;
Tra 15.001 e 28.000 Euro Aliquota al 27% sulla parte eccedente i 15.000 Euro;
Tra 28.001 e 55.000 Euro Aliquota al 38% sulla parte eccedente i 28.000 Euro;
Tra 55.001 e 75.000 Euro Aliquota al 41% sulla parte eccedente i 55.000 Euro;
Oltre i 75.000 Euro Aliquota al 43% sulla parte eccedente i 75.000 Euro.

Si tratta di aliquote progressive, come sancito dall’art. 53 della Costituzione: Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività.

Appare evidente che proprio il terzo scaglione di reddito, che poi è quello che interessa maggiormente il cosiddetto ceto medio, è il più penalizzato. Lo stacco rispetto allo scaglione inferiore è notevole: l’aliquota passa dal 27 al 38 per cento, con un incremento addirittura di 11 punti.

Il precedente governo, Conte bis, aveva introdotto un correttivo attuando dal 1° luglio 2020 un iniziale abbattimento del cuneo fiscale (il rapporto tra tassazione e costo del lavoro) per i redditi fino 40 mila euro, ma solo per i lavoratori dipendenti con esclusione di pensionati e Partite Iva.

Esistono ora le condizioni per intervenire sull’Irpef (a decorrere dal 1° gennaio 2022) e diminuire le imposte per tutti gli italiani, magari riducendo gli scaglioni da cinque a quattro e armonizzandoli tra loro al fine di raggiungere un beneficio diffuso.

Si tratta di un aumento di capacità contributiva che potrebbe riverberarsi positivamente sui consumi in quanto le persone avendo più denari, spenderanno di più, lo stato incasserà più Iva e ciò contribuirebbe a rimettere in moto l’economia italiana.
Un altro effetto benefico della riduzione delle tasse sarebbe l’abbassamento dello spread (divario di rendimento tra titoli di stato) grazie al quale si pagherebbero meno interessi sui titoli di stato, potendo così intervenire sulla diminuzione del debito pubblico, che oramai ha raggiunto cifre spropositate.

Mauro Marino, esperto in economia © Riproduzione riservata

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