Zona bianca

 Sardegna - Il rischio è tornare a ballare sul Titanic, come l’estate scorsa

Con il passaggio, imminente, della Sardegna in area bianca, se da una parte molte categorie economiche, ristoratori in testa, traggono un respiro di sollievo per le prolungate aperture, non sono in pochi coloro che temono il rischio di interpretare il traguardo come una sorta di liberi tutti.

Chi non ricorda quanto breve fu il passo dal noncenècoviddi balneare alle successive misure di confinamento autunnale per contenere la seconda ondata?
È dimostrato ormai ampiamente – chiedere conferma a Boris Johnson o a Donald Trump - che nella gestione della pandemia, leggerezza e improvvisazione non sono buone alleate, con buona pace dei negazionisti a tutti i costi e degli aperturisti per convenienza.

Entrare in zona bianca è una buona notizia e stiamo certi che la palma di chi per primo ha raggiunto il traguardo, tra tutte le regioni italiane, non ce la toglie nessuno.
Un primato però più platonico che concreto, se resta così, com’è non accompagnato da confortanti dati sulle vaccinazioni.

E lì non siamo certo tra i primi. I numeri aggiornati (fonte: Covid-19 Opendata Vaccini), ci collocano terzultimi in Italia, con il 5,30% di dosi somministrate in rapporto alla popolazione (86.430 dosi per 1.634.174 abitanti).

Ai noti problemi di approvvigionamento, che sono nazionali e continentali, è evidente che si assomma un certo torpore isolano nel somministrare. Il rischio è che la promozione in fascia bianca possa indurre a un ulteriore rilassamento, con una percezione del pericolo del virus sempre minore.

Quale migliore occasione, invece, se non questa per imprimere un’accelerazione alle vaccinazioni? Non fosse altro per tentare di restarci il maggior tempo possibile in zona bianca, e al riparo dalle molteplici varianti.


C’è poi un altro, grande problema, rappresentato da chi è stato escluso dalle priorità delle somministrazioni: operatori sociali, personale socio sanitario che opera spesso a domicilio, pazienti oncologici e portatori di altre patologie, croniche o debilitanti, che erodono le difese immunitarie.
Molti di questi soggetti hanno continuato a lavorare, anche nei momenti più cruciali della diffusione del contagio, anche quando, e dove, si contavano le autoambulanze in fila davanti ai pronto soccorso.

Questa esigenza la conferma chi vive il problema in prima persona, come Laura Salis, di Villacidro, che è anche operatrice sociale nell’accoglienza dei migranti: «è abbastanza frequente per noi recarci nei presidi sanitari per accompagnare le persone che assistiamo. Siamo esposti a situazioni dove il rischio di contagio è all’ordine del giorno. Per non parlare di Oss e di tutti coloro che per lavoro si recano nelle abitazioni altrui ad assistere persone, esponendo sé stessi e gli altri al rischio costante. Esiste una classificazione in fasce indicata da norme nazionali, e ci avrebbero dovuto equiparare a medici e personale ospedaliero: va da sé che alcune categorie, più esposte di altre, debbano essere vaccinate con priorità».

E non vanno certamente dimenticate le altre categorie: insegnanti, commercianti, studenti e via via tutti coloro che quotidianamente si relazionano a gruppi numerosi di persone.
Perchè non c’è altra via d’uscita diversa da quella di arrivare alla copertura immunitaria più ampia possibile: solo così potrà finire questo incubo di inizio ventennio.

Non è certo il caso quindi di abbassare la guardia: gioiamo pure per la promozione ma stiamo ancora ben vigili e attenti perché, è bene ricordarlo, il bianco è colore sporchevole.

Marco Cazzaniga (Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.) © Riproduzione riservata

 

 

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