Pistocheddus

 Serrenti - Francesca Lisci custodisce e divulga una tradizione da mantenere viva

In un tempo lontano is pistoccaiasa erano ricercate in tutto il paese. Un’arte tramandata di madre in figlia che oramai rischia di cadere nell’oblio.

La tenacia e la passione di Francesca Lisci, tengono fede alla tradizione ultra secolare di Serrenti. Il suo impegno e le sue collaborazioni in prima persona mirano a tramandare la realizzazione de is pistocheddus in tutta l’Isola: sovente, gruppi di donne e associazioni, la chiamano per guidare i corsi da loro organizzati.

Francesca Lisci nella vita lavora come operatrice socio sanitaria, è quarantacinquenne, mamma e nonna: «Ho avuto le mani in pasta fin da bambina, quando osservavo in vicinato la migliore amica di mia nonna, tzia Pina, sa maista, che realizzava queste piccole opere d’arte. Insegno la tradizione perché questa non deve morire, fa parte di me, dei miei sapori, dei miei ricordi: come quando nonna apriva la credenza che ci inondava dei suoi profumi».

La ricetta di questo dolce leggerissimo (un biscotto pesa 10 grammi), veniva tramandata a voce. Gli ingredienti sono semplici: due tipi di farina, su scetti sadru o fiore sardo e la farina zero, uova, strutto, limone e sale.

Alimenti poveri, ma presenti in tutte le case di Serrenti, questi biscotti tipici venivano realizzati all’alba, quando finito di infornare il pane si poteva procedere alla lavorazione dei dolcietti. Gli attrezzi minimi per la loro preparazione erano una pattadesa, forbicine e una piuma di gallina, oggi sostituita dai pennelli da cucina, per decorare il biscotto con la glassa. E poi tantissima fantasia.

In paese, in passato, esistevano due scuole vere e proprie: le donne si riunivano nel vicinato di Santa Vitalia o in quello di San Giacomo dove si usavano ricette diverse.
Le forme più tipiche de su pistocheddu e Serrenti erano gli animali: gattino, agnellino, gallina, ma anche la coroncina e la borsetta.


A impreziosire il bianco candido della glassa, erano la foglia oro o le praline. L’arte della realizzazione di questo biscotto sta tutta nella preparazione della glassa. Un vero e proprio mistero se si pensa che Francesca Lisci non usa neppure il termometro per misurare la temperatura del composto, come abitualmente si usa fare in pasticceria, con altri dolci.

Solo un occhio esperto è in grado di capire quando è pronta la glassa che andrà a perfezionare e ad abbellire il biscotto. Una vera maestra, soprattutto sa correggere la glassa quando questa non fosse perfetta: se tende a non asciugare correttamente, deve essere sistemata nell’immediato.

«La cosa più difficile - ha svelato Franceca Lisci -  è la cottura della glassa, poiché nel processo incidono il clima, l’umidità e anche il vento. Si deve riconoscere, con l’esperienza, quando è pronta. Anticamente il composto veniva girato a mano dalle donne, che si alternavano nel lavoro e solo alla fine, arrivava il tocco della più esperta: sa maista».

Oggi mancano molte occasioni di incontro tra le donne, rispetto a un tempo, ma la tradizione però è ancora tenuta viva dalle mani di poche esperte, che riescono a tramandare il segreto della realizzazione di questo dolce tipico: «Il vero segreto è uno: sperimentare», ha commentato Francesca Lisci, che poi ha concluso: «Io mi metto sempre in gioco e non mi stanco mai: ho sempre sete di imparare e di conoscere. Impastare mi rilassa. Un mio sogno nel cassetto è quello di avere un agriturismo, dove preparerei tutti i dolci possibili, recuperando tutto quello che il territorio ci offre».

 

Giorgio Mancosu © Riproduzione riservata

Immagine in evidenza: un momento dell'impasto

Di seguito:
diverse fasi della preparazione, con Francesca Lisci impegnata nei vari momenti del corso sulla preparazione de is pistocheddus



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