Cortile Casa Museo Dona MaximDaniela Frigau

 San Gavino - Ieri a Dona Maxima la presentazione di "Mammai"

Presentato ieri nei locali della Casa museo Dona Maxima, Mammai, l’ultimo libro della scrittrice e psicologa Daniela Frigau, edito La Zattera.
L’evento è stato parte di più ampia serie di iniziative patrocinate dal comune di San Gavino e realizzate in occasione del 25 novembre, Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne, che hanno visto il coinvolgimento e la collaborazione di numerose associazioni sangavinesi. Durante la serata l'autrice ha conversato con la corrispondente de Il Sardington Post, Sabrina Abis, che ha coordinato la presentazione.

Mammai è il quarto libro in ordine di uscita della scrittrice burcerese che ha esordito nel 2011 con Se fossi conchiglia ti amerei per sempre, a cui sono seguiti Figli dell’anima nel 2013 e Mer’e domu nel 2017.

Protagonisti del romanzo sono Gioacchino e sua madre Teresa, allontanati dalla famiglia e costretti entrambi all’emarginazione a causa di quello che, per la società di un tempo, era considerato un disonore e uno stigma imperdonabile per una donna: crescere un figlio senza un padre.

«L’aver vissuto in un piccolo paese come Burcei mi ha portata ad ascoltare spesso i racconti delle persone più anziane. Stavo nel mio vicinato a parlare con loro per delle ore e ritengo che questa sia una grandissima eredità perché permette di capire come sia cambiata la società nel tempo ma anche quanta strada ci sia ancora da fare. Oggi per fortuna la monogenitorialità non è più considerata un tabù come in passato, quando l’utilizzo del termine burdu per chi cresceva senza un padre era la normalità, ma raccontare e parlare di storie come queste aiuta a far sentire meno sole le donne che si sono trovate in situazioni analoghe e sottolinea l’importanza del provare empatia, lasciando da parte il giudizio», ha commentato l’autrice a proposito della genesi del libro.

Non è la prima volta che Frigau affronta nella sua produzione i temi degli stereotipi di genere e delle convenzioni sociali che intrappolano la donna e troppo spesso la relegano all’unico ruolo di angelo del focolare.
Teresa è una donna che ha provato a ribellarsi a uno schema imposto, ma qualsiasi strada alternativa le è stata preclusa e anzi le è costata l’allontanamento dalla famiglia: «Per una donna che veniva dai piccoli paesi era impossibile anche potere studiare perché non le era consentito neppure prendere l’autobus per andare a Cagliari, in quanto significava essere considerata una poco di buono. Ho avuto l’occasione di parlare con diverse donne che hanno ripreso a studiare in età adulta, tanto forte era il loro desiderio di farlo e il dispiacere per non averne avuto l’opportunità», ha aggiunto la scrittrice.


Accanto a Teresa c’è suo figlio Gioacchino, costretto a sperimentare già da piccolo il peso dell’età adulta e a confrontarsi con i sensi di colpa e con la convinzione di essere la causa della sofferenza della madre, da cui deriva un forte senso di responsabilità e di protezione nei suoi confronti, come ha sottolineato Frigau: «nel rapporto tra madre e figlio si assiste a una vera e propria inversione dei ruoli. Gioacchino è un bambino non visto, costretto a rinunciare alla sua infanzia, a reprimere le sue emozioni – definite da femminucce da chi gli sta intorno – per anteporvi le esigenze della madre».

Quel conforto che gli manca nel contesto sociale e familiare, Gioacchino lo cerca e lo trova nelle pagine de Il mago di Oz regalatogli da suo zio Vittorio, unica figura maschile in grado di comprendere le sue enormi potenzialità tanto da diventare per lui un punto di riferimento.
«La scelta del libro si spiega col fatto che il viaggio verso la Città di Smeraldo porta Dorothy e i suoi compagni di viaggio – l’uomo di latta, lo spaventapasseri e il leone codardo – ad acquisire la consapevolezza che ciò che cercano è già in loro possesso, e questa metafora si adatta perfettamente al personaggio di Gioacchino.
Concludendo, l'autrice ha parlato della biblioterapia: «È una pratica utilizzata nell’ambito della psicologia clinica, perché dovrebbe aiutare il paziente a prendere coscienza della sua condizione e anche delle sue risorse, ma questo ai bambini riesce più facile che agli adulti, perché, come amava ripetere mia nonna: "I bambini sanno scrivere anche senza una penna"».

Redazione I.S.P. © Riproduzione riservata

Immagine in evidenza: Daniela Frigau con Sabrina Abis durante la presentazione del libro alla Casa Museo Dona Maxima

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