Serena Sanna Arbus Ute

 Arbus - Intervista a Serena Sanna, ricercatrice di fama internazionale

A tu per tu con Serena Sanna, ricercatrice di fama internazionale. Arburese, classe 1980, laureata in Matematica all'Università di Cagliari, Serena Sanna è ricercatrice nell’ambito delle scienze biomediche e nella genetica. Dirigente di ricerca presso il Cnr di Cagliari e docente a contratto presso l’università di Groningen, in Olanda.
Oltre a vantare numerose pubblicazioni su qualificate riviste scientifiche, ha conseguito importanti riconoscimenti nel campo della ricerca:  premiata dal Cnr nel 2003quale migliore giovane nella ricerca della biomedicina, nel 2008 ha ricevuto l'Eshg Young Scientist Award (Premio Giovani Ricercatori della Società Europea di Genetica Umana), a Barcellona, nella stagione 2008/2009 il premio Highlights Cnr per uno dei suoi articoli su qualificate riviste scientifiche (bissato anche successivamente, nell'edizione 2009/2010). Negli anni 2014, 2015 e 2016, 2017, 2018 è stata inclusa nella lista della Thompson Reuter World’s Most Influential Scientific Minds, dei ricercatori che hanno maggiormente influenzato l'avanzamento della ricerca nel proprio campo. Nel 2013, Ricercat@mente, dedicato al miglior giovane ricercatore Cnr, nel 2018 il premio Guido Dorso, dedicato alle personalità eccellenti del Sud Italia e nel 2019, il premio Scienza Madre Award, dell'istituto Spallanzani di Roma. Dal 2020 e’ parte del Club Top Italian Women Scientist (Tiws) che riunisce le più eccellenti scienziate italiane in campo biomedico.

Quando è nata la sua passione per la matematica?

Credo che la passione per la matematica sia nata assieme a me. Fin dalle elementari ricordo con piacere le ore di matematica, le tante mentine colorate vinte alle gare di tabelline che organizzava la mia maestra. Questa passione si è mantenuta anche alle medie e al liceo, così che dopo il liceo era per me naturale iscrivermi alla facoltà di matematica. A scuola sono sempre stata la cosiddetta secchiona, anche se alcune materie come storia e geografia e spesso anche biologia e scienze non erano il mio forte. La matematica mi era facile da comprendere e soprattutto piacevole. Una volta comprese le regole, è come fare un cruciverba. So che non è cosi per tutti, anzi. La matematica è forse una delle materie meno apprezzate, soprattutto al liceo.

Quando ha scoperto di voler fare la ricercatrice e in cosa consiste il suo lavoro?

Durante gli studi universitari ho sempre pensato di cercare un lavoro che mi permettesse di applicare le conoscenze a qualcosa di utile. Ma al tempo non avevo le idee chiare. Iniziai il percorso nella ricerca biomedica un po’ per caso. Avevo tentato il concorso per accedere al dottorato di ricerca in matematica, tre settimane dopo la laurea, ma non passai, così il giorno stesso mi recai allo sportello Orientamento universitario e trovai un’offerta di lavoro per uno statistico al Cnr. Nell’annuncio si chiedevano anche requisiti che non possedevo: "conoscenza dell'inglese" ed "esperienza nell'analisi statistica di parametri cardiologici". La referente allo sportello mi disse «Provi, questo annuncio c'è da un po' e so che non riescono a trovare la persona giusta. Magari potrebbe essere lei». Cosi mi applicai e dopo un lungo colloquio con il professor Pilia, responsabile del progetto ogliastrino ProgeNia, ebbi l'opportunità di partire per questa avventura. Il mio lavoro e le mie mansioni sono cambiate tanto da allora. Se agli inizi ho fatto “semplicemente” analisi statistiche e matematiche, oggi mi trovo a parlare e discutere con biologi e clinici per ideare progetti, chiederne i finanziamenti, formare nuovi ricercatori statistici e matematici. Ma anche scrivere articoli scientifici e  presentare il lavoro a conferenze nazionali e internazionali. Insomma è un lavoro che va oltre le competenze di matematica acquisite al liceo e all’università.

Come viene considerato il lavoro del ricercatore oggi, in Italia e all’estero? 

Credo sia considerato un bel lavoro anche in Italia, a patto che sia con un contratto indeterminato. Il problema dell'Italia infatti è che una buona parte della ricerca viene effettuata da ricercatori con contratti precari. Anche all'estero molti contratti sono a tempo determinato, ma sono contratti con ferie e malattie pagate, e uno stipendio dignitoso, a partire dal dottorato stesso, che da noi è pagato con una borsa di studio di appena mille euro, mentre all’estero è un contratto vero e proprio. Inoltre all’estero ci sono tante opportunità non solo nelle università ma anche in aziende specializzate, per cui anche se il contratto è precario si vive con tranquillità, sapendo che ci sarà l’opportunità di trovare altro.


Ha vissuto in diversi luoghi: America, Olanda, Italia. Quali differenze ha riscontrato, per il suo lavoro e per la famiglia?

Le differenze sono tante, alcune dettate anche dal fatto che le ho vissute in tempi diversi della mia vita. Per andare in America sono partita giovanissima e sola, in Olanda con tutta la famiglia. L’ambiente di lavoro all’estero è molto diverso, in parte dovuto anche al fatto che la burocrazia non è cosi massacrante come in Italia. Per esempio, in alcuni laboratori americani il ricercatore può fare degli acquisti di materiale scientifico in autonomia, con una carta di credito prepagata. Ci si affida al suo spirito di buona fede come ricercatore. In Italia per ogni acquisto bisogna avere tre preventivi, aspettare tempi di approvazione e trasferimento fondi, rallentando non solo la ricerca ma anche sovraccaricando l'amministrazione, che risulta sempre sotto pressione.
Dal punto di vista famigliare, ogni posto ha i suoi benefici e i suoi svantaggi. Dove ho vissuto in Olanda, a Groningen, c'era un buonissimo sistema di supporto alle famiglie. Parchi giochi ben tenuti in ogni quartiere, giochi per bambini disponibili in ogni posto in cui abitualmente si fa la fila (al comune, al supermercato, ristoranti, addirittura dal meccanico). Ovviamente bellissimo, ma per noi “emigrati” sardi mancava la parte umana: i nonni, gli zii, i parenti in generale.

Com’è vive il suo essere donna in un luogo di lavoro dove si dice ci siano più uomini? È vero? 

In realtà al Cnr ci sono tante donne. Anzi, al livello base ci sono più donne che uomini. Al contrario, ai livelli più alti ci sono quasi esclusivamente uomini. Io sono nei livelli più alti, e oltre a essere donna sono pure “troppo” giovane (attualmente sono la più giovane al Cnr nel livello di dirigente). Come ci si trova? Evito di ritenermi diversa o speciale solo perché donna o giovane. Cerco di focalizzarmi sul mio lavoro e di farlo bene, e di farmi riconoscere per i risultati che ottengo piuttosto che per il livello in cui sono assunta.

Ha un consiglio per i giovani che si affacciano alla scelta universitaria oggi?

Nel mio campo c’è una richiesta spropositata di persone laureate in discipline tecnico-scientifiche, in particolare statistica, matematica, informatica, bioingegneria e biotecnologie. Anche all'estero spesso è difficile trovare personale con queste qualifiche. Consiglio quindi queste facoltà perché oltre a offrire opportunità nella ricerca biomedica aprono molte possibilità per lavorare in aziende. Sono discipline trasversali, che si possono applicare a tanti ambiti lavorativi.

 

Valentina Vinci (Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.) © Riproduzione riservata

Immagine in evidenza: Serena Sanna durante una recente conferenza all'Università della Terza Età di Arbus