I due saggi

 

«Innòi s’agatàus custu medì, a sa torràda!» sberrittò l’uno.

«Asinùncas a su noti no dd’agatàus, sa torràda!» scoppolò l’altro.

Quindi, raddrizzatisi a fatica, per direzioni opposte rimossero. Barcollanti de cussa manèra che parevano esaudire sulle punte un antico rito tribale. Il saggio di Segarìu che muoveva la danza sacra verso Villanovafranca, il saggio di Villanovafranca che la dirigeva verso Segarìu. Ognuno dischiusi il cuore e la mente alle delizie di un mondo sconosciuto tutto da carpire. E che prima dell’imbrunire si mostrò ancora chiaro di sole alle profondità dei loro occhi esigenti e delle loro anime pretenziose.

Peccato non accorgersi, botti ubriache di cantina, che Scìutotudeu aveva sulle punte dei piedi riballato verso Segarìu, e di suo Pitìcudeconca verso Villanovafranca. In pàgus fuèddus, il saggio di Segarìu non giunse mai a Villanovafranca ma se ne tornò a Segarìu, il saggio di Villanovafranca non raggiunse mai Segariù ma ritornò a Villanovafranca. Che saggezza.

«Ge fìat ora de arribài - sospirò proprio dietro casa sua Scìutotudeu - ma imòi, su maìstu, est momèntu de ddu gosài deu custu logu

E si guardò attorno in una specie di fanciullesco girotondo, così curioso e fiducioso chi nimàncu candu fìat pipìu.

«Càstias pagu pagu - annotò - innòi puru ci pàssat s’arrìu

E via un nuovo giro, quasi una specie di ballu tundu.

Manco messi d’accordo - saggi erano - uguale uguale fece il compare.

«Stasìu ma ci seu - rifiatò proprio innanzi al proprio uscio Pitìcudeconca - e imòi, su maìstu, est momèntu de ddu gosài deu custu logu

E si guardò attorno in quella specie di girotondo, pipìu cussu puru.

«Malabài - appuntò - dèpit essi chi dd’hanti asciutàu, s’arrìu

Poi via un nuovo giro, quasi una specie di ballu tundu.

Di entrambi gli occhi poco esigenti, le anime meno pretenziose.

E a loro merito, mancài affexàus, assai sforzarono e forzarono di vederle quelle decantate bellezze tanto sognate e di più attese. Ma per quanto al corpo inutilmente li spremessero gli occhi, quelli della mente piano piano spalancavano luce alla ragione. Che financo gli altri si arresero, di doppia mandata rinserrati all’entusiasmo come al giorno che moriva.

«Ainnàntis de si fai scudìu - amareggiò Scìutotudeu - mi tòcat a ddu movi su passu, chi no est celu allùtu de luna custu

«Morendisì chi est su soli - rattristò Pitìcudeconca - passu lestru mi tòcat, chi ddu timu a su noti fòras de domu

Quindi, ricompostisi a fatica, per direzioni opposte nuovamente mossero. Barcollanti de cussa manèra che sembravano esaudire sulle punte chi sa quale antico rito tribale. Il saggio di Segarìu a muovere danza sacra verso Villanovafranca, il saggio di Villanovafranca puntata su Segarìu.

Peccato non accorgersi, botti ubriache di cantina, che Scìutotudeu stava sulle punte dei piedi ballando verso Villanovafranca, di suo Pitìcudeconca verso Segarìu. In pàgus fuèddus, il saggio di Segarìu non se ne tornava a casa ma infilava quella del collega, medesima azione compiva il saggio di Villanovafranca. Che saggezza.

E nuovamente, sulla mezzanotte di metà strada, incrociarono il passo de si castiài a ògus strìntus - forse il buio - comènti dus pobìddus lassendisì. A dogna manèda, torna sedettero sugli stessi perdigòni de mesudì.

Il silenzio anneriva spesso quanto una forma di pecorino.

Fine secondo episodio

Ignazio Pepicelli Sanna © Riproduzione riservata

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