Le tre sorelle 

Disteso sull’erba alta del prato fuori l’ovile, Ciriaco seguiva d’occhi curiosi il lento procedere dei cirri per le vie del cielo e il plasmarsi di fantastiche figure, create e disfatte come il gioco sulla sabbia dal vento leggero che rotolava dal Monte Lìnas. A vedergliele da là sopra, quelle sue gambette smagrite, somigliava a un lungo insetto disperso nel verde a distesa della campagna. Ma ai suoi tratti delicati e alla sua bella statura le signorinelle di Gònnos sbattevano le palpebre, nonostante sghignazzassero della sua proverbiale sbadataggine e dell’immancabile camicia gualcita e a quadri.

«Ha proprio bisogno di una moglie che se lo carichi in soma!» accoravano tutte, ognuna però sospirando di essere lei la prescelta.

Di tutt’altri pensieri lui, coricato come se ne stava, raccogliendosi l’erba i palpiti del suo cuore. Di dolore e d’amore senza fine, in un confidarsi alla terra che lo accoglieva nel suo grembo materno. Pensava alla sua casa, dove proprio in quel giorno era tornato e dove avrebbero ripreso busse e umiliazioni. Al babbo burbero e zotico, che in maniche alte di camicia si sbrodolava l’alba al paiolo del latte appena munto. Alla mamma, sfatta di fatica e di speranza. Quanta differenza dagli anni goduti nella più bella e ricca casa padronale di Gònnos. Lì, tzìu Chichìtu e la moglie sua si erano mostrati buoni con lui. Così la loro figlia, Marìka, bella e rara come la rosa di marzo. Una volta gli aveva portato dolci, e lui alla fidàta le aveva dato a schiocco un bacio sulle labbra. Il più che però di lei aveva ammirato era lo studio assiduo, in una grande stanza stipata di tomi altrettanto grossi. Là dentro aveva imparato a rimare versi, scoprendosi perfino bravo. Più di lei, che non se ne fece onta affatto.

Ma il sogno quel giorno era finito, causa la sua sbadataggine. Oltre una tziu Chichìtu gliene aveva minacciata, per ogni volta soprassedere. Fino a quando non gli rovinò la tela con l’effige di Santa Barbara che salata gli avrebbe pagato su vicàriu, pisciandoci su in un attimo sovrappensiero.

«Non occorre - preficava se stesso - dire che mi è caduto il companatico di dentro la focaccia per svelare quanto mala sia la mia sorte!»

A questo pensava Ciriaco, guardando le nubi posarglisi insolenti sul naso. Le sue dita tracciavano segni per aria, quasi volessero seguirne curve e avvallamenti. E un’impressione di gioia gli scorse sui riccioli neri, proprio come sull’erba leggera.

Il vocione rude di suo padre lo risvegliò dall’estasi, e le nocche più rudi ancora gli colorirono le guance impallidite.

«Che fai qui, arràtza de mandròni

«Babài - mortificò - ero così felice!»

«Di cosa, tonto? Alla poesia non crescono mammelle da mungere. Meglio faresti a pensare alle pecore mezzo disperse per valle!»

Lui si levò con gli occhi gonfi di lacrime e le riunì a pietrate. E rincasando trovò la madre seduta su uno scranno davanti al focolare spento, perduta e silenziosa. Il genitore ubriaco come al solito.

«Su poèta est torràu - sbeffeggiò - ita si dice nel mondo delle fate?»

Non resistette e se ne fuggì, Ciriaco, nascondendosi fra le ombre che già ninnavano la campagna non del tutto assopita.

«La notte mica è più del giorno - determinò - l’alba tesserà in fili di luce la propria rutilante giustizia!»

E sul quel risolvere, pure risoluto, gli papaverò il sonno storditi sogni.


Fine primo episodio

Ignazio Pepicelli Sanna © Riproduzione riservata
Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

← Torna all'elenco degli episodi

FacebookFollowersYoutube white Instagram white Twitter

 

 

WhatsApp

Medio Campidano in breve

 

Appuntamenti di cultura, incontro, socialità

Lun Mar Mer Gio Ven Sab Dom
1
2
4
16
17
18
24
26
27
29
30