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Allora ripensando al padre, il cuore le si strinse in un morso d’angoscia e ricorse a casa, per consolarlo dell’inconsolabile. Che a seguito di abbracci inseparabili raggiunse il Castello soltanto al primo imbrunire, sul viottolo di pietrisco illuminato da due filari di fiaccole. In fondo il conte vestito di tutto punto, ad accoglierla di tali squisitezze, che alla tavola imbandita la giovinetta si divorò con la timidezza decoro e timore.

«E di nulla mancherà tuo padre!» aggiunse sale alle pietanze il tentatore.

Quindi condotta alla sua camera tutta affrescata, alla mensa del riposo si consumò beata il sonno in paio alla fame.

Da allora non sbadigliò sole senza che nuove gioie rilucessero in eguale misura sull’avorio della sua pelle. E mai spilorciò di avvampare luna sulla distesa dei suoi comandamenti, sfavillando al focolare della seduzione il ceppo del mese. Da pensare di essersene fatto cenere il diavolaccio, che tutto tronfio e profumato e baldanzoso bussò una sera alla sua porta.

«Alle mie cure spendi sorriso - osò pertanto - vuoi essere mia sposa?»

«Arrosso labbra che soffiano il fuoco della gratitudine - smorzò Lucrezia - giammai l’ardore della passione!»

Sia pure deluso, seguitò a profondersi Satanasso in ricercate raffinatezze, declamanti infiorati versi sul di lei virtuoso decoro. Ma più che strariparne il fiume del casto bene non otteneva, da rinserrarsi le bronzee porte degli Inferi e rilucere in sembianza di scudi d’oro alla luce del sole. Veniva alle sue nari un profumo non di zolfo ma piuttosto d’incenso, alle orecchie un canto gioioso che si sarebbe spergiurato di litanie. Anime lorde presero a battersi il petto e più incredibile ancora gli spiriti immondi fecero tonsura.

«Volevi pescare di frodo - omeliarono in saio e cingolo i demoni - e irretito sei stato, stolto e distolto di un diavolo!»

Che mutandoglisi sulla schiena le ali da nere a bianche, rivolò a Sanluri.

«Tuo padre morirà senza conforto e senza salvezza - finalmente malignò - se amore o meno ancora disdegnerai di sposarmi!»

E incantato all’uopo lo specchio in cornice d’oro della grande sala, glielo mostrò disteso sul lettino nell’ultimo scampolo di vita.

«Salvatelo - implorò vinta Lucrezia - e sarò vostra!»

Fu atto d’amore che invalidò la promessa d’anello e obbligò il demone ad abbandonare con Sanluri progetto e posseduto, sia pure restituendo agli Inferi ombra e tormento. Di uguale pegno il signore rese al padre la figlia, in aggiunta all’intero suo roseto e a un sorriso sincero.

«Non ho amato che la mia diletta moglie - svelò - da patirne palpito il mio cuore, crollato ogni sospiro alla scure raffilata del ricordo. Però alla sera il rosario lega le anime che alla luce il demonio scinde. E intorno alle pareti scure arrossate dal fuoco, le ombre deformi paiono i fantasmi chetati dei morti che partecipano alla preghiera di pace e di perdono. Lucrezia, vuoi ora essere tu la mia sposa, parimenti amata?»

Lei chinò lo sguardo e non rispose. Ma le si tinse il volto del mantello, non più spinoso, delle rose rosse.


Fine terzo episodio

Ignazio Pepicelli Sanna © Riproduzione riservata
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