Le tre sorelle 

L’indomani era domenica delle palme e Ciriaco si recò alla messa solenne della santa benedizione, alle undici. Comunicatosi, del suo caracollare se ne uscì de Crèsia Manna più sollevato nell’anima e negli occhi, franando dritto dritto sul cestone di fragole che una sconosciuta vecchina offriva in cambio alla fame. E tutto ciò che non si perse schiacciato, i monelli se lo spartirono correndo e vociando e smandibolando.

Pure la poverina strideva, così tanto che le comari al tavolo dei pani della festa circondarono il responsabile. Oddio, quante gliene dissero.

«Impiastro!»

«Combinaguai!»

«Scuncòrdagiògus!»

Finché questi, ammutolito dalla pena e dalla vergogna, cavò di saccoccia il borsellino non proprio rigonfio e sonante ma bastante, per consegnarlo intero a quella specie di megera gracchiante. Che lo afferrò e lo vuotò di premura. Solo allora il minaccioso circolo delle venditrici si aprì.

Il giovane alleggerito si allontanò mesto ma in gran carriera, quando riudì alle spalle lo sputacchiare sdentato e roco della vecchietta che lo aveva seguito. E raggiunto, a dispetto della schiena curva e la gamba corta.

«Fillu miu - affannò e tossicchiò - la fortuna ti arride!»

«Càstias pagu pagu - canzonò Ciriaco - aggiumài non me ne accorgevo!»

«Tziu Chichìnu ordina che domattina, sulla piazza di Gònnos, presenzino i più giovani e bravi rimatori del Medio Campidano. Chi fra loro accenderà il fuoco dell’arte, sposerà la bella figlia sua e ne godrà con le ricchezze!»

Ciriaco non curava meschine ambizioni, bastandogli l’amata poesia. Però di Marìka pensò i lunghi capelli bruni cinti di asfodeli, e commosse parole esalarono le sue labbra.

A voi lo giuro che credo soltanto
al ritmo al verso e infine al canto
non lesino al pari d’estate cicala
le tenere strofe che il cuore esala

La vecchia, che era una fata, lo avvolse in uno sguardo compiaciuto.

«Non mancare domattina - raccomandò - e ricorda che la gara avrà inizio presto. Io so che i tuoi versi incantano puru le rondini del cielo, e so che vincerai. Allora ti saluterò potente e ricco come tziu Chichìtu, ti offrirò la più gustosa giuncata e il miele più saporito!»

Ciriaco scosse il capo. Era un uomo come gli altri, lui. Un poco più triste, un poco più felice degli altri. Perché sentiva la vita da poeta. Ma promise.

«Sarò alla piazza e alla gara, domani!»

Ed era così lieto nell’animo che quella sera gli pareva scuotesse per lui le foglie il vento, e che per lui gli uccelli giocassero sui rami agitando gai le piccole ali. Poi ebbe inizio un bisbiglio, un sussurrio, un tintinnare di fiori tipo campanelle di cristallo. Ristette in ascolto. Ed ecco che quel tintinnio, quel sussurrio, quel bisbiglio mutarono in parole sommesse sospinte dal Libeccio. Allora alzò lo sguardo sulle nubi luccicanti d’oro, e sentì in cuore la scossa di un baleno. Due fondi occhi azzurri lo guardavano di dolcezza infinita, che un sentimento di intima felicità lo avvolse al pari di un manto papale. Le campanelle di cristallo agitarono più forte, cadendogli addosso gli smeraldi scintillanti del sole, a indorare l’erba manco fili di bisso.

Erano gli occhioni di Marìka. Che pure, in quello sfolgorare incantato della natura, severi ora gli parvero. Come di un intimo rimprovero.

«Ho forse a te mancato?» arrossò guance, in tremore di colpa.

A nome della giovinetta, la campagna tutta gli rispose.


Fine secondo episodio

Ignazio Pepicelli Sanna © Riproduzione riservata
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