Le tre sorelle 

«L’ha destinata il cielo al coro celeste dei puri angeli!» riferì l’indomani al suocero ignaro.

Che sentì lacerarsi le carni, pasto di lupi nella tormenta. Ma non pianse.

«Solo i banditi - rantolò voce - catturati piangono da donnicciole!»

E seduto braccia sui ginocchi rialzati ai piedi appesi alla stanga più bassa della sedia, scuoteva la testa a significare la morte pure della speranza.

«Vai in pace - aggiunse soltanto - io ti benedico!»

«Vengo umilmente a chiedervi - chiosò d’aggiunta il diavolo - la mezzana delle vostre figliole!»

Mica piacque al vecchio, ma a non cucire il dolore al danno gliela diede. E siccome non era contadino da posare a barone, questa volta pianse.

Tempo poi ci volle, e pure Violetta lasciò San Gavino per salire il Castello.

«La mia dimora è tua - recitò il marito cognato - e di essa i servi. Quanto possiedo tu possiedi. Solo ti è proibito salire la torre più alta!»

Come alla sorella appose al collo la rosa in ginepro e come la sorella fatta quaresima fece quella pasqua, dividendone l’accaldata sorte. E laddove i giorni si perdono, la torre infernale rinserrò le due incaute sorelle dietro le spesse ante in legno massello.

E giacché pregno ventre rigonfiano i proverbi, l’anello e il fiore Gelsomina ebbe sorte di indossare. Ma incauta di meno, seppure curiosa altrettanto, sciolse agli occhi la benda della curiosità e al collo la rosa. Rincasato, lui gliela scorse incredulo che pareva profumare primavera e fedeltà.

«Domanda ciò che vuoi!» gongolò soddisfazione.

«Mena mio padre - lamentò - stentata e solitaria esistenza. Vorrei recargli così tanto che non abbia a languire inverno e avvenire!»

«Così pertanto sia!»

E all’istante diede ordine che la si contentasse in ogni sua richiesta.

Lei fece caricare sul carrettone due cassoni, deputati a essere colmati di ogni bendidio. La notte vi fece invece entrare le sorelle e tornò al talamo nuziale che il diavolo sbuffava pece dalle narici come un toro alla corrida.

«È questo il momento!» risolse in un trattenuto fiato di tenebra.

Sputò sulle mani come un bovaro e così vociò le bestie, che piegando il capo tesero i garretti in tintinnio di campani. Lei a cassetta, chiusa nello scialle. Le sorelle nelle casse al riparo dell’incannato, srotolanti avemarie in schiuso di labbra. I cerchi stridevano sul pietrisco, ammutolendo a farsi il fondo argilloso, udendosi solo i sonagli dei buoi e il gemito dei mozzi.

Giunte a San Gavino, il focolare paterno riebbe lume e gusto di festa. Ma svaporata che fu la rugiada di stelle, i dardi del nuovo sole mostrarono un meno mite calpestio di zoccoli.

«Lo so che sono qua!» sbrigò al vecchio il signore, in voce di brace.

«Uomo o demonio - non si scompose il contadino - è vincolo in casa mia il dovere dell’ospitalità. Vino maschio, forte come una schioppettata!»

«Sia!» digrignò quell’altro, tracannando dalla bottiglia senza respiro.

«Pam! Pam!» gli parve allora di sentire in petto. Un doppio tocco come di latrato, palle per capi grossi. Tale fu l’effetto dell’acquasanta versata nel vino, da farne fumata e zolfo del demonio, in eterno restituito all’oscurità degli Inferi e della notte eterna.

Le sorelle sposarono più umili giovanotti, in opulenza di spirito e di figli. Tanto che il vecchio rallentò il passo al traguardo nella corsa della vita.

Del fatto antico tuttora si racconta al tepore dei focolari di San Gavino, a farne mimato gesto i guitti e rimarne poesia i cantastorie.

 

Fine terzo episodio

Ignazio Pepicelli Sanna © Riproduzione riservata
Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

← Torna all'elenco degli episodi

FacebookFollowersYoutube white Instagram white Twitter

 

 

WhatsApp

Medio Campidano in breve

 

Appuntamenti di cultura, incontro, socialità

Lun Mar Mer Gio Ven Sab Dom
1
2
4
16
17
18
20
21
24
26
27
29
30

Speciale Elezioni Regionali - I consiglieri eletti

Le nostre interviste ai consiglieri regionali eletti

Elezioni regionali